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Google+ chiude: le motivazioni del fallimento

Google+: una chiusura annunciata? Dopo sette lunghi anni trascorsi tra alti e bassi, con risultati…

Google+: una chiusura annunciata?

Dopo sette lunghi anni trascorsi tra alti e bassi, con risultati eccellenti dal punto di vista del numero di utenze collegate e diverse controversie legate allo sfruttamento dei dati personali degli users, Google+ chiude definitivamente i battenti. Ad annunciarlo è stata l’azienda stessa di Mountain View, in seguito ad uno scandalo che nel 2018 ha coinvolto non soltanto Google, ma anche Facebook, Yahoo! e in parte Twitter. Ancora una volta sono stati i dati degli utenti a finire in pasto agli hacker, i quali, sfruttando le tipiche falle di un sistema apparentemente perfetto, hanno approfittato dei bug presenti nei codici di programmazione dei servizi in questione per rubare i dati sensibili di milioni e milioni di utenti. Ma analizziamo più nel dettaglio ciò che è accaduto a Google+.

Nato nel 2011 come alternativa ai colossi di Palo Alto (Facebook e Instagram), Google+ ha registrato nel corso del tempo una straordinaria crescita esponenziale, tanto da arrivare a registrare nel 2016 più di 3 miliardi di account collegati alla rete sociale. Numeri che evidentemente non sono bastati agli sviluppatori del servizio per evitare la chiusura di un servizio vincente, ma con qualche difetto di fondo, come testimoniano le problematiche recenti scoppiate proprio intorno alla già citata fuga di dati sensibili (su come configurare la privacy su un account Google+ se ne parla su Shoppingtecnologico). Ma cos’è accaduto in questi mesi difficoltosi all’azienda di Mountain View? Come si sono verificati i bug che hanno comportato l’esposizione al mondo intero dei dati privati di un numero enorme di utenti?

La chiusura di Google+: i fatti

Riepiloghiamo con calma i fatti per mettere in chiaro come lo scandalo dati abbia avuto ripercussioni devastanti sul social di Google, provocandone la definitiva chiusura (tra l’altro non ancora avvenuta) del servizio lanciato nel 2011. Nel mese di ottobre del 2018 l’azienda di Mountain View ha annunciato come durante l’anno in corso, precisamente nel mese di marzo, un problema legato alla sicurezza dei dati degli utenti avesse provocato una sorta di falla, andando a inficiare la segretezza che un utente qualsiasi si aspetta da un servizio efficiente come quello offerto da Google. Numeri alla mano, l’azienda ha comunicato come fossero circa 500.000 gli utenti interessati dal bug. Per mesi Google ha celato la notizia, anche perché, stando alle comunicazioni ufficiali della stessa, il problema era stato risolto nel mese stesso in cui il bug si era presentato all’interno dei server. Tuttavia, per evitare ulteriori scandali, Google stessa ha deciso di imporre la chiusura del servizio stabilendo la data di shutdown (spegnimento generale) per il 2019.

Le conseguenze principali dello shutdown di Google+

In un primo momento Google ha annunciato di voler chiudere il social network per il mese di agosto 2019, lasciando però aperta la sezione Enterprise, vale a dire la suite a pagamento comprendente tutti i servizi offerti dal motore di ricerca più famoso al mondo. In poche parole, saranno gli utenti comuni (sezione Consumer) a subire le conseguenze peggiori: i profili verranno infatti cancellati, il che spegne definitivamente le speranze da parte degli users medi di poter continuare a sfruttare i canali di comunicazione social offerti dall’azienda.

Ma non è finita qui. Come se non bastasse, nella seconda settimana del mese di dicembre 2018 Google ha annunciato un nuovo attacco ai dati degli utenti (il servizio social è ancora attivo e funzionante) avvenuto in novembre, il che ha comportato la decisione di anticipare lo shutdown ad aprile 2019. In questo caso, però, a farne le spese sono stati i dati di un numero impressionante di utenti: circa 52 milioni di contatti sono stati resi vulnerabili da una nuova falla legata al funzionamento delle API (Application Programm Interface, vale a dire le procedure di svolgimento di compiti predeterminati dei software), cifre esorbitanti e in grado di far rabbrividire un bacino di utenza considerevole. Sarà dunque il mese di aprile a segnare la morte del servizio social di Google, con l’azienda costretta a lasciarsi alle spalle quello che era molto più di un esperimento, ma era semplicemente una realtà non perfettamente funzionante.

Le motivazioni del fallimento di Google+

Alla luce di tutto ciò, è possibile fare altre considerazioni sulle reali motivazioni che hanno spinto Google a chiudere il proprio social network, ricordando soprattutto come i già citati Facebook e Yahoo!, nonostante scandali analoghi (e di portata maggiore), siano tuttora attivi anche dopo lo sfruttamento non autorizzato dei dati personali degli utenti da parte di terzi.

In primo luogo, bisogna sottolineare come l’intenzione principale dell’azienda di Mountain View fosse quella di salvaguardare la propria immagine. Una multinazionale dal fatturato miliardario, nota in tutto il mondo per l’eccellenza dei propri prodotti e in grado di fornire servizi di eccezionale utilità per la navigazione online, non avrebbe potuto tollerare un ulteriore smacco come quello subìto con l’esposizione incontrollata di milioni e milioni di dati dei suoi utenti. A tutto questo si aggiunge il fatto che Google+ ha sempre peccato dal punto di vista della funzionalità e dell’efficienza (a differenza dei social network più noti), il che non ha aiutato affatto sul piano dell’eventuale ripristino del servizio, nonostante il numero di utenti connessi al social fosse superiore ai 3 miliardi.