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Le colpe della fastfashion ricadranno su tutti noi.| Greenpeace ne studia l’impatto ambientale

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Lo studio di Greenpeace sulla fastfashion.
(Fonte: corporate) – Cronacalive.it

Le conseguenze del capitalismo sfrenato: cos’è la fastfashion

Si parla molto di fastfashion negli ultimi anni. L’ultima tendenza capitalistica vede infatti al centro del marketing l’immediatezza dei risultati. Fast fashion perché le nuove tendenze del mondo della moda passano tanto velocemente dalle passerelle ai negozi, permettendo di cavalcare l’onda delle novità immediatamente. Ogni anno durante la cosiddetta settimana della moda vengono proposte le nuove mode nel campo dell’abbigliamento e poco dopo esse arrivano negli store a disposizione della clientela.

Per rendere possibile tale meccanismo si è parlato di una ottimizzazione della produzione che, usando una filiera semplice ed economica, ha velocizzato il processo produttivo permettendo la velocizzazione di tutti i passaggi. Ciò permette peraltro di garantire al pubblico abiti a basso costo. Insomma questi vestiti sarebbero di moda, arriverebbero in fretta e li si potrebbe anche pagare davvero poco.

Si utilizza il condizionale perché dietro questo specchietto per le allodole si cela come sempre il più atroce dei meccanismi di sfruttamento. Greenpeace e molte altre organizzazioni, come ad esempio anche Campagna abiti puliti, si sono sempre schierate contro la fast fashion. Proprio per svelarne le dinamiche pericolose nasce il rapporto “Moda in viaggio“, che viene subito dopo l’inchiesta condotta da Report “Giralamoda“.

Uno studio di Greenpeace svela quanto impattano i suoi resi di prodotto

Greenpeace ha posto dei localizzatori gps su 24 capi d’abbigliamento acquistati da rivenditori quali Amazon, Temu, Zalando, Zara ed altri. Dopodiché ha effettuato il reso del prodotto per monitorare i giri che esso avrebbe fatto. In questo modo hanno potuto osservare la filiera dei rivenditori e hanno scoperto che i prodotti percorrono migliaia di chilometri in tutto il mondo e vengono rivenduti centinaia di volte, contribuendo così a un’impennata enorme delle emissioni di anidride carbonica nell’aria.

La ricerca ha mostrato che in meno di due mesi dalla restituzione questi pacchi hanno percorso oltre 100 mila chilometri, impattando terribilmente sul già grave stato dell’inquinamento globale. Inoltre, il fatto che spesso i resi siano gratuiti per i clienti spinge all’acquisto compulsivo e al reso senza darsi troppi pensieri.

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L’abbigliamento reso percorre chilometri prima di arrivare a destinazione.
(Fonte: corporate) – Cronacalive.it

Prospettiva futura

Il futuro in tale prospettiva diviene sempre più incerto. Il web pullula di piattaforme di vendita online che propinano prodotti economici che arrivano in un attimo e possono essere restituiti a costo zero. Il problema è che nessuno si pone domande su provenienza e destinazione e nessuno si chiede chi paga il prezzo per tale servizio.